Una poltrona per due / Brave ragazze

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Le insolite ignote

Antonio Fiore
I molti difetti di Brave ragazze li spiega qui a fianco il mio compagno di poltrona. Io provo a elencarne qualche pregio.
1) E’ un heist movie, genere assai poco frequentato dal cinema italiano. E il fatto che sia per di più un film “di rapine” tutto al femminile aumenta considerevolmente il suo tasso di simpatia. Queste “solite ignote” che assaltano banche per risolvere i problemi quotidiani non saranno nipotine di Monicelli, ma la loro terragna inadeguatezza al crimine le rende prossime a certe maschere intramontabili (e, certo, ineguagliabili) degli anni d’oro della nostra commedia popolare.
2) La regista Michela Andreozzi mi aveva già convinto con Nove lune e mezza, film di esordio dietro la macchina da presa in cui giocava sugli stereotipi maschili e femminili senza la grossolanità obbligatoria di tanti colleghi comicaroli. Qui dimostra un talento non comune nel mescolare i generi e nel passare dall’azione alla farsa e viceversa, pur pagando dazio per un avvio non tra i più felici causa sceneggiatura diesel.
3) Il quartetto è perfettamente affiatato: Angiolini-Pastorelli-Rossi-D’Amico disegnano quattro figurine muliebri che stanno bene insieme, con menzioni speciali per la Pastorelli sottratta alle trappole della pupa di borgata, e per la napoletana Serena che non sbaglia mai un colpo.
4) Film tutto al femminile, ho scritto. Però funziona anche il maschietto Luca Argentero nei panni del commissario Gianni Morandi (!) che legge Maigret ma è imbranato (e innamorato di una delle rapinatrici) come l’ispettore giapponese Utsumi (e qui si capisce come il film, più che alla “incredibile storia vera” delle amazzoni avignonesi, si ispiri al famoso manga Occhi di gatto).
5) Brave ragazze è ambientato a Gaeta negli ’80 ma non c’è ombra della solita nostalgia per quegli anni, formidabili solo per i cineasti senza memoria. Pensate che alcune delle brave ragazze mostrano folti cespugli sotto le ascelle.

Gaeta e la tiella non bastano

Marco Demarco
Gaeta e la tiella non bastano. E non bastano neanche quattro brillanti attrici come Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi e Silvia D’Amico con al fianco un Luca Argentero per la prima volta non del tutto smodato. Aver scelto come set un angolo ancora poco celebrato dal cinema italiano; aver evocato ( purtroppo se ne parla, se ne fa intuire la bontà, ma si vede solo di sfuggita) una delle migliori torte salate della tradizione gastronomica nazionale; e aver mobilitato un cast di tutto rispetto per una commedia, cioè per un genere per cui c’è quasi sempre un pregiudizio positivo, non fa de Le brave ragazze un film per cui valga la pena alzarsi dal divano. Le sorprese sono poche, si sorride raramente e mai con soddisfazione, e già dalle prime scene si capisce che il registro narrativo è fuori controllo. Poi il tono caricaturale si attenua, questo è vero, ma l’iniziale sbandata mette sul chi vive lo spettatore. Si dice che il film sia ispirato alla storia vera di quattro ragazze francesi che, finite nell’angolo di una vita senza futuro, si improvvisano rapinatrici di banche, e non solo. Sarà sicuramente così, sebbene sia forte il sospetto che si tratti di un pretesto per dare concretezza alla storia. Ma il fatto è che trama, situazioni e implicazioni ricordano molto non tanto la realtà, ma la finzione di un’altra commedia amicale particolarmente felice, vale a dire di Nemiche amiche, del 2013, con Claudia Gerini, Cristiana Capotondi e Sabrina Impacciatore. Ed è qui che tutto precipita. Se un film te ne fa venire in mente un altro, se ad ogni scena ti dici che le altre erano più divertenti, allora davvero non capisci perché il tuo compagno di rubrica abbia tanto insistito per sceglierlo come film della settimana. Vorrà dire che ne scoprirò le ragioni leggendolo oggi con voi.

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