De Magistris, sindaco di flotta e di governo

Dunkerque1

L’ammiraglio Luigi de Magistris si vede già con un piede sulla biscaglina, pronto a mollare gli ormeggi: “Il porto di Napoli non è chiuso. Ma se adesso dovessero chiuderlo, a Napoli ci sono non meno di 400 imbarcazioni che possono recarsi in acque internazionali e prestare soccorso a quelle persone. E sulla prima di quelle 400 imbarcazioni ci salirò io con la fascia tricolore”.

Se si voleva trasformare l’odissea di quarantanove disperati in balia delle onde del Mediterraneo e dell’indifferenza dell’Europa in una farsa ad uso del pubblico e delle tifoserie locali, il sindaco di Napoli ci è perfettamente riuscito: e certo, quattrocento imbarcazioni sembrano francamente un po’ troppe per portare in salvo qualche decina di rifugiati, ma vuoi mettere l’effetto che fa anche solo immaginare le centinaia di barche a vela, yacht, mercantili, pescherecci, aliscafi, gommoni, sandolini, canotti e pedalò napoletani mentre solcano coraggiosamente le acque di quel Mare (che sempre Nostrum è) per compiere una missione eroica davanti alla quale impallidisce persino l’impresa di Dunkerque, l’ora più buia della Seconda Guerra Mondiale che il genio di Winston Churchill seppe trasformare in trampolino per la vittoria della democrazia contro il nazismo?

Qui invece, miseria dei tempi, la battaglia è solo tra Dema e il salvinismo, e viene combattuta a colpi di cannonate fortunatamente virtuali: ciascuno dei contendenti fa a chi la spara più grossa, fa “bum!” ma con la bocca. Dunque il ministro dell’Interno (che essendo ministro dell’Interno avrebbe comunque più degli altri l’obbligo di provare a ragionare tra un cambio di divisa e l’altro) gioca irresponsabilmente a fare il duro maramaldeggiando sulla pelle di pochi sventurati, e fregandosene della legge del mare che impone il salvataggio di persone in pericolo; mentre il sindaco di Napoli gioca la carta dell’emotività, dell’indignazione civile, della nobiltà dei sentimenti, dell’impegno contro la protervia: flotta continua.

Ho citato Churchill, ma probabilmente de Magistris ha altri modelli che gli ronzano per la testa mentre scruta impavido l’orizzonte in attesa di (non) prendere il largo con i suoi Tigrotti di Posillipo o di Molo Beverello: lui è Sandokan in lotta contro il perfido Brooke, certo, ma anche Fidel mentre compie la traversata dal Messico a Cuba sul Granma, la scassata imbarcazione con la quale i rivoluzionari sbarcarono sull’isola caraibica per portare l’assalto finale alla feroce dittatura batistiana. Oppure è l’eroico marinaio del Potemkin che sventola la bandiera rossa in faccia all’odio zarista. E, perché no, è pure l’ammiraglio Francesco Caracciolo, eroe e martire della prima Rivoluzione partenopea (la seconda e più riuscita, almeno secondo il suo autore, è quella che si identifica con la propria sindacatura).

Che poi nulla accadrà, che la “battaglia” di Malta non sarà mai combattuta e dunque non entrerà mai nei libri di Storia accanto alle grandi battaglie navali di Lepanto o di Trafalgar è notizia quanto mai confortante. Aggiornando Bertolt Brecht che nella Vita di Galileo diceva “sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi”, consoliamoci riflettendo sulla immensa fortuna del popolo napoletano: pur non avendo bisogno di eroi, può tuttavia permettersi un sindaco che gioca a fare l’eroe.

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