I fratelli Coen hanno bisogno
di un Lebowski napoletano

scarlett-johansson-ave-cesare

1454454001643Interrogati tempo fa dalla rivista Vogue su quale fosse la loro città preferita, i fratelli Ethan e Joel Coen risposero senza esitazioni “Napoli. Siamo rimasti affascinati dal calore della gente, dalla vita di strada. Che casino, però! Traffico, gente che correva ovunque. Non sapevamo che agli italiani piacesse il fitness”.
Speriamo dunque vivamente che in un prossimo futuro i due geniali registi della Hollywood più vivace decidano, magari sull’esempio del loro amico e attore-feticcio John Turturro, di girare un film qui da noi, traendo nuova linfa per la loro vena corrosiva e spiazzante ma in via di rapido esaurimento: già il precedente A proposito di Davis ci aveva lasciati freddini, però quella mesta parabola del folk-singer senza qualità brilla come una gemma al confronto dell’odierno Ave, Cesare!, omaggio agli anni d’oro della Mecca del Cinema e alla (molta) miseria e (poca) nobiltà di Hollywood Babilionia. Intendiamoci: i Coen girano sempre con gusto e maestria, ma questa storia potenzialmente esilarante che ruota intorno a Eddie Mannix, fixer (cioè uno che tira fuori dai guai gli attori salvando le major dal disastro) alle prese con attori-cani, star con imbarazzanti maternità in arrivo e divi misteriosamente scomparsi si frantuma in una serie di siparietti scollegati l’uno dall’altro. La parte del leone dovrebbe farla George Clooney (centurione romano in un kolossal su Cristo) che viene rapito da una setta segreta di sconclusionati sceneggiatori comunisti (guidati nientepopodimeno che dal professor Herbert Marcuse) in lotta contro l’ideologia capitalista degli studios: si dovrebbe ridere molto in modo intelligente, invece ci si annoia parecchio e in modo anche un po’ fessacchiotto. Non vorrei sbagliarmi: ma tutte le volte che i Coen ingaggiano l’amicone Clooney finisce sempre male, forse perché quando ci si diverte troppo sul set, quasi mai si diverte il pubblico in sala. E’ andata così per Fratello, dove sei?, Prima ti sposo, poi ti rovino e Burn After Reading. E ora per Ave, Cesare!, dove pure splendono il virtuosismo molto computerizzato della zenitale sequenza-Busby Berkeley in cui Scarlett Johansson si tuffa in piscina vestita da sirena come Esther Williams, e l’adrenalinico “tributo” a Gene Kelly con la coreografia alla Un giorno a New York. Come si sarà dunque capito, il film è un continuo ping-pong tra rimandi cinefili anni ’50, talvolta per pochi eletti (confessatelo: chi di voi si è accorto che il nome di uno dei personaggi femminili, Carlotta Valdez, è esattamente quello della “donna del ritratto” del Vertigo hitchcockiano?).
Un giochino simpatico ma fatuo, intervallato da ulteriori citazioni di citazioni: il dibattito tra gli esponenti di varie religioni sulla natura del Cristo starebbe bene in un film di Woody Allen (che però l’avrebbe scritto molto meglio); il sommergibile sovietico che emerge dalle acque californiane è una replica di quello giapponese che nello spielberghiano 1941 deve silurare Hollywood; e il fixer di Josh Brolin è un calco di Fearless Fosdick, il solerte detective “senza paura” creato da Al Capp. E forse proprio il geniale fumettista “reazionario” era il modello (clamorosamente mancato per assenza di vetriolo) dai Coen. Che, con a disposizione un cast stellare (oltre ai già citati, cameos e amichevoli partecipazioni di Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Christopher Lambert e Frances McDormand, moglie di Joel, qui nel ruolo di montatrice tabagista e maldestra) mancano l’appuntamento con il capolavoro tante volte rispettato con Crocevia della morte, Barton Fink, Mister Hula Hoop, Fargo… Aspettiamo i Coen a Napoli: per un nuovo, grande Lebowski.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *