10 aprile, evento maccheronico a Sirignano

Avviso ai Maccheronici, ai non Maccheronici e ai futuri Maccheronici: domenica 10 aprile è in programma un importate evento maccheronico che avrà luogo tra Avella e Sirignano, in provincia di Avellino.
Il programma si aprirà alle 11 con una visita guidata nell’area archeologica di Avella, luogo di storia antichissima. Alle 13 si terrà invece il pranzo maccheronico presso la Taberna del Principe della vicina Sirignano.
L’evento è aperto a tutti con una quota di partecipazione (da versare in loco) fissata in euro 40 cadacranio (bevande comprese). Le prenotazioni (ciascuna per max 4 persone) vanno inviate NON a questo sito, ma esclusivamente a pasquale_blunotte@yahoo.it che vi risponderà nel più breve tempo possibile. Il numero di posti è limitato, dunque si consiglia di inviare la richiesta al più presto evitando così di finire nell’odiosa lista d’attesa.
Assicurando all’evento il mio patrocinio morale e la mia presenza fisica, accludo qui di seguito la recensione su Taberna del Principe da me redatta per il Corriere del Mezzogiorno nel lontano, ma non poi troppo, 2013.

IL LUOGO non è dei più ameni, l’ingresso del locale sul desolato stradone statale non promette esperienze indimenticabili, ma una volta entrati la musica cambia d’incanto: di piatto in piatto, la sosta alla “Taberna del Principe” (sottotitolo: “Sapori del Sud”) si rivelerà la più lieta sorpresa di fine 2013. E dire che il benvenuto, un tortino di alici su crema di zucca, goccia di pesto di basilico e vino cotto intorno, mi era parso coraggioso ma non equilibrato. E invece, dagli antipasti (anzi dai pani: integrale, zucca, cafone e splendidi grissini alla lavanda) in poi, tutto seguirà uno spartito armonico, fantasioso, in qualche passaggio addirittura inebriante. Prendiamo gli antipasti (nell’ordinato menu sono 6, così come le altre portate): l’uovo fritto sta sugli spinaci e sotto una cascata di lamelle di tartufo d’Avella tonico e ben marezzato, lo accompagna una spuma di aglio bianca e lieve come una nuvola. In carta c’è ironicamente anche il panino, ma non è esattamente come al pub: l’hamburger è di Marchigiana (di pesci e molluschi nella variante mare) riccamente spalmata di una crema dei tartufi di cui sopra, e la maionese è della casa. Il consulente Arturo, contravvenendo alla sua stessa regola (solo tartufi bianchi) lo divora in pochi soddisfatti morsi. Ma la terza delle nostre entrée (panzanella con cozze, salsa al limone e spuma di Parmigiano, preparazione a base di ingredienti comuni ma di qualità eccelsa e assemblati con eleganza e tecnica da alta cucina) ci spinge a saperne di più dello chef: eccolo, si chiama Giovanni Arvonio, ha 27 anni, si è fatto le ossa all’”Oasis” di Vallesaccarda e all’estero, indossa con orgoglio la divisa con la sigla dell’Alma (la scuola di Gualtiero Marchesi che ha frequentato con profitto) e da meno di un anno ha rilevato questa ex pizzeria trasformandola in un’oasi di piacere nell’Irpinia “bassa”, più partenopea che avellinese, a Sirignano. E quel Principe nel nome non sarà certo casuale: Sirignano è infatti il luogo d’origine di Francesco Saverio Gaspare Melchiorre Baldassarre Caravita, Principe di Sirignano e protagonista delle cronache mondane con il diminutivo di Pupetto. Tra l’altro, Pupetto un suo posticino nella storia della gastronomia campana ce l’ha, avendo inventato per l’amico Fred Chandon e signora (sì, quelli di Moët & Chandon) i celebri e imitatissimi spaghetti alla Nerano. Arvonio gli rende omaggio con apposito piatto: ma il menu segue rigorosamente la stagionalità, dunque in lista fino all’estate non troverete la sua versione di pasta e zucchine. Però con la puntuale assistenza di Elia (coetaneo e compagno di Alberghiero come Antonio, il sous-chef) ci rifaremo con gli interessi degustando due paste e un risotto da sballo: i tortelli fatti dallo chef sono farciti con cinghiale (irpino, non solita Metro) brasato all’Aglianico, il tutto in un delizioso, ramato brodo di cipolla (Montoro) bruciata, versato nel piatto al momento; e qui, assieme allo stile di Gualtiero, avverti la lezione dei Fischetti. Il riso è un Vialone nano teneramente mantecato con mozzarella di bufala, tartufo (è il momento giusto, tartufiamoci con voluttà) e un pizzico dolce di cannella. E la terza scelta si rivela folgorante: le lasagnette sono di grano saraceno, che come (non) tutti sanno non è un cereale ma una pianta erbacea, e Giovanni lo abbina ad un ragù di porcini locali e alla fonduta di Pecorino. Il ruvido della lasagnetta, la succulenza del ragù, la morbidezza della fonduta, impiattati come in un frattale di Jackson Pollock: “Noi siamo quello che mangiamo”, dice la scritta feuerbachiana sulla tela-lavagna che occupa la parete di fondo del piccolo (mono)locale. Ma siamo anche quel che vediamo, e quel che vediamo qui ci piace. Al punto che mi sto dimenticando del vino: faccio subito ammenda dicendo che le etichette in lista sono 50, ben suddivise in campane e nazionali (più un paio di Champagne). Netta maggioranza di rossi, ma noi fin qui abbiamo bevuto con piena soddisfazione il Particella 928 di Cantina del Barone. Il 2011 è minerale e puro, il miglior Fiano tra quelli da me assaggiati quest’anno. Ma con i secondi in arrivo è necessario il rosso: resto in Irpinia spostandomi da Cesinali a Montemarano con un classico, l’Aglianico di Molettieri, più che un Aglianico, un Taurasi che non ha ancora l’età (e il costo) di un Taurasi. Con il sontuoso Cinque Querce ’08 brindiamo così all’unico porcellum che ci piace, l’alta pancetta di maiale (anche il suino è locale) con purea di patate arrosto e mela annurca. E leviamo i calici pure dinanzi al vitello in salsa di nocciole (irpine), confettura di more nere e verdure cotte al sole. C’è ancora posto, prima che nello stomaco e nell’articolo non entri più nulla, per buoni formaggi glocal (Vezzena, caprino…) con confetture e mieli, per la piccola e originale pasticceria, e per due dessert che non si dimenticano: mousse, mou, biscotto e salsa “tutto alla nocciola” e, udite udite, cous-cous alla liquirizia (una sorta di quenelle) con mousse di cioccolato bianco, gelée di grappa e salsa alla zucca. Gusto, territorio, inventiva, passione, umiltà: per me è sì.

Pubblicato in Cibo

isposte

  1. Bello l’articolo. Un omaggio al grande ‘napoletanista’ scritto da uno che pure nun s’è mai frusciato.

  2. Grazie, Donato. Ma non so perché questo tuo commento al mio post su De Falco sia finito qui e non sotto l’articolo giusto. Se vuoi, prova a re-indirizzarlo…

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