Arbore: “E se fossi io
l’americano di Carosone?”

foto iwan012

Domani suonerà con l’Orchestra Italiana a Portici, il 4 a Piano di Sorrento, poi altre otto date tra cui in Campania (targate Scabec) Benevento, Santa Maria di Castellabate, Lioni, Teggiano… Arbore on the road again, come dite voi a Foggia.
“E come cantavano i Canned Heat nel ’68. Sì, di nuovo sulla strada, in tour. In effetti quella da me fondata è l’orchestra stabile più longeva del mondo: quando l’ho messa su ai tempi del festival di Montreaux era solo per fare un po’ di swing. Pensavo: faccio qualche concerto, poi mi fermo. Invece sono passati ventotto anni: non lo avrei mai immaginato. Ed eccoci di nuovo qui”.
Ventotto anni in giro per il mondo come instancabile ambasciatore della musica italiana (e napoletana in primis) dagli States alla Russia, dalla Cina al Brasile, dal Giappone al Venezuela. E sempre sold out. Secondo me ha incontrato più folle lei che Giovanni Paolo II.
“Faccia due conti… a occhio abbiamo tenuto fino a ora circa 1.600 concerti, alla media di 50 o 60 all’anno. A ottobre avremmo dovuto esibirci all’Expo di Dubai, poi è successo quel che è successo, se ne parlerà nel 2021. Ma il tour che parte domani non sarà meno importante di Dubai”.
Come sarà ritrovare il pubblico dopo il lockdown?
“Un’emozione forte, però mi sento comunque tranquillo nonostante il problema del distanziamento, delle poltrone occupate una sì e due no, e il fatto che non suoniamo insieme da sei mesi. Ma ripartiamo dalla Campania: Comme facette mammeta o Malafemmena ci daranno la carica giusta”.

Foto Vincenza Petta

Come sono stati per lei questi mesi di confinamento forzato?
“Mi sono dato da fare. Sia con lo Striminzitic Show, 21 puntate “casalinghe” andate in onda su Rai2, sia con il renzoarborechannnel.tv, la mia web tv in cui potrete vedere (rigorosamente gratis) centinaia di “cose” mie e non, compresi i “50 sorrisi da Napoli”: sketch storici, parodie, canzoni antiche o nuove, da Pazzaglia che canta Me ne vado a fare il guru a Jerry Lewis e Dean Martin che intonano Oj Mari’. E poi Totò, Walter Chiari, Aldo Fabrizi: tutte quelle cose di cui i giovani, pur “razzolando” molto in Rete, non hanno ancora scoperto la vera importanza. Ho avuto un successo importante, con punte di 700mila contatti. Mi sto divertendo molto”.
Un po’ “Musica e puttanate”, come con Boncompagni avrebbe voluto intitolare “Alto gradimento”, il programma che cambiò la storia della radio italiana.
“Una stagione formidabile. Ma a cui ripenso con un velo di malinconia. Prima se ne è andato Gianni, poi Mario Marenco…”.
E l’anno scorso l’addio a un altro grande amico, forse il più amico di tutti: Luciano De Crescenzo.
“Gli sono stato vicino fino all’ultimo, ricordo le canzoni napoletane che lui ascoltava in cuffia,  ormai quasi alla fine. Ora con Marisa Laurito e con il professore Domenico De Masi stiamo scrivendo un libro di cose su di lui: non era solo uno scrittore e un regista, ma un intellettuale finissimo animato da una cultura vera, un filosofo, un divulgatore. E pure un eccellente atleta. Era fin troppo dotato, e come spesso accade in Italia è stato sottovalutato: forse per l’invidia suscitata negli addetti ai lavori per la sua popolarità. Luciano era la Napoli di sempre, non quella delle mode, delle stagioni: era la Napoli della bellezza, della storia, del teatro, della musica. La Napoli classica, e la città più bella del mondo”.
Come quella che appare sempre alle sue spalle quando ci parla in Rete dal salotto di casa?
“Quel quadro apparteneva a Fred Buscaglione, lo aveva realizzato un pittore veneto: la mia Napoli, la “cartolina” degli anni ’50 con gli chalet e le barche. Una meraviglia”.
Era anche la Napoli di un altro mito partenopeo di cui abbiamo festeggiato i 100 anni dalla nascita. Che cosa rappresenta per lei Carosone?
“Lui ci ha regalato una delle canzoni più indicative dell’Italia di oggi. Tu vuo’ fa’ l’americano potrebbe essere l’inno attuale del nostro Paese: l’idolatria per il mercato ci sta rendendo sempre più simili agli States”.
Eppure ci sono forti sospetti che quel tizio che nei ’60 passava “scampanianno pe’ Tuledo” fosse proprio lei.
“A quell’epoca non eravamo più di dieci ad andare in giro per Napoli vestiti “all’americana”. Compravamo i jeans usati al Ponte di Casanova, io suonavo a Calata San Marco nei locali dei militari Usa. Non escludo che Nicola Salerno in arte Nisa, il paroliere di Carosone, si sia ispirato al sottoscritto”.

P.S. In realtà Carosone stesso, nell’autobiografia scritta con Federico Vacalebre “Un americano a Napoli” (Albatros) smentisce la tesi di Renzo Arbore, sostenendo che nel ’56, anno di uscita del disco “Tu vuo’ fà l’americano”, Renzo non era ancora arrivato a Napoli come studente universitario (perché, osserva Carosone con una punta di cattiveria, “in quell’anno Renzo, bocciato in terza liceo, era ancora a Foggia”). Ma io mi attengo alla regola fissata una volta per tutte nel film di John Ford “L’uomo che uccise Liberty Valance”: “Quando la leggenda diventa realtà, stampa la leggenda”.

(dal Corriere del Mezzogiorno del 1o agosto 2020)

 

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