Ci ha lasciato troppo presto e troppo all’improvviso Lucio Rufolo, amico sincero, medico di vaglia e scrittore e umorista finissimo. I suoi molti estimatori lo ricorderanno nei tanti interventi pubblici (memorabili le serate al Clubino di via Luca Giordano o al Mangiafoglia di via Carducci) in cui questo signore dall’aria riservata, anzi quasi ritrosa, prendeva il microfono per trasformarsi progressivamente ma implacabilmente in stand-up-comedian travolgente (ma dall’aplomb sempre distaccato e irreprensibile), inanellando una serie di folgoranti paradossi che spaziavano dalla medicina alla gastronomia alla storia (e persino alla preistoria, o alla fantastoria). Il contrasto tra la serietà del suo aspetto e la comicità irresistibile delle sue divagazioni nonsensiche ne facevano una sorta di Achille Campanile partenopeo (anche se era nato a Contursi Terme) abilissimo nei giochi di parole e nei calembour, capace con i suoi libri (da “De bello traffico” a “Ho scritto t’avor sulla sabbia” a “Antologia di Spam River”) di aiutarci a ridere delle follie del mondo che ci circonda (e soprattutto della nostra follia) attraverso l’esercizio rigoroso (e folle) di una (auto)ironia dissacrante che andava sempre a segno. Eleganza, intelligenza, cultura, più il dono di saperle comunicare attraverso un gioioso surrealismo verbale: Lucio Rufolo era un medico che ti curava anche l’anima.