Una poltrona per due – Toy Story 4

_107513105_toy-story-4_disney

Solo per i tuoi (bal)occhi

di Antonio Fiore
Quando ho confessato ai familiari che Toy Story 4 mi aveva emozionato e commosso meno di Toy Story 1, 2 e soprattutto 3 (il capolavoro), loro mi hanno fatto notare che ciò accadeva perché ormai mi ero fatto grande. Effettivamente all’epoca in cui vidi per la prima volta Toy Story 3 (il capolavoro) avevo appena 57 anni, un’età in cui si è ancora indifesi verso il fascino dei disegni animati, tuttavia penso che il motivo della mia (parziale!) delusione risieda altrove.
Il fatto è che Toy Story 3 (il capolavoro) rappresentava la chiusura perfetta di una saga che ha cambiato (in meglio) la storia dell’animazione. Tutti i temi portanti della serie erano lì condotti a logica conclusione: il legame dei toys con i loro padroncini (sono i bambini che posseggono i giocattoli o i giocattoli che posseggono i bambini?) e il timore dei protagonisti in-animati di finire scaraventati nell’oblio appena il bimbo diventerà adolescente, timore fugato dal passaggio di consegne (pardon, di balocchi) dal ragazzo cresciuto alla bimba che si affaccia alla vita… A tutto questo formidabile meccanismo ad alta intensità emotiva e tecnica, l’episodio n.4 aggiunge in fondo poco, limitandosi a piccole garbate variazioni su temi già affrontati in precedenza: la perdita, l’abbandono, il ritrovarsi. Il parco-giochi si rinverdisce con tre o quattro new entry: ma il pur fondamentale Forky (forchettina di plastica trasformata in giocattolo ma che rivendica il suo stato di utensile usa-e-getta precipitandosi ogni volta che può nel bidone) resta allo stato embrionale. E i vecchi sodali di Woody il cowboy e Buzz l’astronauta sono sottoutilizzati: Mr. e Mrs. Potato si smontano pochissimo, la cowgirl Jessie ha rare occasioni di mostrare la sua travolgente carica. E che fine han fatto Barbie e Ken? Insomma, il tardivo quarto capitolo sembra originato, più che da urgenze creative Pixar, dall’esigenza Disney di sfruttare un articolo di successo. Comunque: 1000 volte meglio un Toy Story oggi che un Dumbo ieri (e un Re Leone domani), i live action con cui Disney sta tradendo il suo (il nostro) immaginario.

Toy eroi in cerca d’identità

di Marco Demarco
Con l’età che è quella che è, e senza neanche un nipotino da esibire come alibi, su suggerimento del contitolare di questa rubrica, mi sono ritrovato a fare qualcosa che mai avrei immaginato di fare. Cioè, a vedere Toy story 4 circondato da genitori premurosi e bambini inconsapevolmente renziani, a giudicare da quanti pop corn hanno sgranocchiato mentre si godevano lo spettacolo. Valeva la pena? Direi di sì, perché imbarazzo a parte, è sempre utile cambiare il punto di vista. E qui la prospettiva è spiazzante per almeno un paio di motivi: primo, perché è quella dei più piccoli e non dei soliti adulti; secondo, perché è quello degli oggetti, nello specifico dei giocattoli, e non degli umani. Ma questo credo valesse anche per tutti i precedenti film della serie. La novità è dunque altrove, nel messaggio. Che qui, direbbe Grillo, è strutturato a moduli, come i missili “Apollo”: uno lancia l’altro. Primo stadio: il mondo non è fatto di solo umani, anche le cose hanno un’anima, rispettare le cose vuol dire rispettare il mondo, cioè la vita. Visione olistica. Secondo stadio: viviamo per essere riconosciuti, cioè amati o comunque considerati dagli altri: nel caso dei giocattoli, essere scelti dai propri padroncini; ma il riconoscimento essenziale è quello che viene da noi stessi, dalla propria voce interiore, dice paradossalmente uno dei protagonisti. Visione identitaria. Terzo stadio: la vita è movimento, cambiamento, evoluzione, guai a identificarsi in un attimo speciale o in una stagione, perfino le relazioni più forti, quelle con le persone care, prima o poi devono lasciare spazio a nuove esperienze. Visione libertaria. E fin qui, nulla da dire. Anzi. Ciò che resta opaco è invece il rapporto con la modernità. Tutti i giocattoli sono datati, nel senso che sono di pezza o di plastica, e il digitale non compare mai. Unica eccezione tra gli oggetti è il navigatore del camper su cui viaggia l’allegra compagni, alla fine ridicolizzato e manomesso dai toy-eroi. È una scelta o un pretesto narrativo? Temo più la prima. Ma nel dubbio mi sono tuffato anch’io in un secchiello di pop-corn.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *