LEGITTIMA DIFESA (DALLE IMPROVVISAZIONI)

Carlo Fiore

Professore emerito di diritto penale

Università di Napoli Federico II

LEGITTIMA DIFESA (DALLE IMPROVVISAZIONI)

Con la ripresa autunnale dell’attività parlamentare, è assai probabile che tornino d’ attualità i temi della giustizia e, fra questi, le ventilate riforme della legittima difesa, care soprattutto alla Lega, ma comunque presenti nel c.d. contratto di governo (pag. 22) sotto il titolo «difesa sempre legittima»; titolo, in verità, a dir poco raggelante per un giurista. Trattandosi di una delle (poche) riforme a costo zero inserite nel programma dell’attuale maggioranza, e tenuto conto dei numeri (gli interventi tesi ad allargare i limiti della difesa privata sono stati sempre graditi al centrodestra) è assai alto il rischio che la “riforma” passi. Quanto mai opportuno, perciò, fare il punto sulla questione, a cominciare dall’esistente.

Il primo comma dell’art.52 del codice penale stabilisce:

«Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

In pratica, come si vede, questa norma – scritta in un italiano impeccabile che sarebbe difficile rinvenire nei testi legislativi dei giorni nostri – autorizza l’uso della violenza, anche con armi, da parte di chi vede messo in pericolo un qualsiasi diritto, suo o di altri: cioè non solo la vita, l’incolumità, la libertà personale, l’integrità sessuale; ma anche il patrimonio, l’inviolabilità del domicilio, ecc. Con due precisi limiti: l’attualità dell’aggressione e l’appropriatezza della reazione difensiva.

Questo significa che non potrà invocare la legittima difesa, ad esempio, chi, avendo identificato il ladro che nottetempo gli ha svaligiato la casa, il mattino dopo lo va a cercare e lo massacra di botte (manca, qui, l’attualità dell’aggressione). Ma neppure potrà invocare la legittima difesa l’agricoltore che, scorto un ragazzino (o, se preferite, la classica zingarella) che ruba della frutta da un albero del suo campo, imbracci la carabina, prenda la mira e spari un colpo in testa al ladruncolo, uccidendolo (qui mancherebbe ogni proporzione tra il danno temuto e la reazione).

Questi due esempi rappresentano, com’è evidente, dei casi-limite, in cui non può esserci alcun dubbio sull’inesistenza della legittima difesa. Fra quelle ipotesi, e le situazioni in cui, viceversa, la legittima difesa non può essere messa in discussione (si pensi al rapinatore che mi punta una pistola in faccia) vc’è, naturalmente, una gamma infinita di casi, nei quali solo il giudice, con una attenta e scrupolosa valutazione, può stabilire se, in concreto, si è trattato, oppure no, di una reazione difensiva che rientra nei limiti della legge.

Sarà bene sottolineare che questa funzione di mediazione, spettante al giudice, fra la previsione astratta e generale della legge e la concretezza del singolo caso, con le sue infinite varianti, contrassegna in modo irreversibile l’evoluzione dei sistemi giuridici dell’Europa continentale negli ultimi due secoli e segna con ciò anche la differenza che passa fra il diritto contemporaneo e quello, fatto di di “bandi” e di “gride” dei potenti di turno, con cui avevano a che fare l’Azzeccagarbugli e Renzo Tramaglino, nei “Promessi Sposi”!

Già sotto questo profilo – cioè per il suo carattere regressivo nel quadro di un ordinamento giuridico moderno- la maggior parte dei penalisti italiani manifestò forti riserve su una prima modifica legislativa in materia di legittima difesa, intervenuta nel febbraio del 2006, per iniziativa di una maggioranza parlamentare, forse meno sprovveduta e ondivaga dell’attuale, ma cementata, a quanto pare, dalle medesime istanze securitarie.

Questa prima miniriforma – o sedicente tale – della legittima difesa si concretò in due commi aggiunti all’art.52 del c.p., che così stabilivano:

«Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma (violazione di domicilio), sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

  1. la propria o la altrui incolumità;

  2. i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.»

Come si vede, questa norma di legge, che apertamente introduceva una sorta di “presunzione” di proporzionalità tra offesa e difesa, in presenza di determinate situazioni, di fatto non allargava in alcun modo i limiti di legittimità della difesa privata: infatti le situazioni in essa descritte già rientravano, pacificamente, nella previsione dell’art. 52!

Sotto questo punto di vista, la “novella” del 2006 – sbandierata come un successo dal centrodestra in generale e dalla Lega Nord in particolare – era una riforma perfettamente inutile, perché non spostava di una virgola nè i limiti della legittima difesa nè i termini del suo accertamento da parte del giudice.

Ma non per questo era da ritenersi del tutto innocua: sia perché introduceva comunque elementi di confusione nella struttura della previsione legislativa e sia perché l’enfasi posta sulla difesa del “domicilio” e il contestuale riferimento all’ elemento del possesso di armi “legittimamente detenute” rappresentavano senza dubbio un incentivo indiretto alla proliferazione del possesso di armi a scopo di difesa privata.

Di fatto, comunque, com’era largamente prevedibile, la “riforma” del 2006 non ha prodotto alcun effetto sulla prassi applicativa dell’art.52, accrescendo per questa via il senso di frustrazione della collettività, abilmente coltivato negli anni successivi dalle forze politiche di opposizione, per puri scopi elettorali. Da qui anche la proposta di ulteriori riforme della legittima difesa, attualmente sul tappeto.

Secondo la più gettonata di queste proposte (a firma dei deputati leghisti Molteni, Fedriga, Giorgetti e altri) l’istituto della legittima difesa dovrebbe essere ulteriormente modificato, aggiungendo all’art.52 un terzo comma, del seguente contenuto:

«Si considera che abbia agito per difesa legittima colui che compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione mediante effrazione o contro la volontà del proprietario o di chi ha la legittima disponibilità dell’immobile, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di una o più persone, con violazione del domicilio di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, ovvero in ogni altro luogo ove sia esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale»

Qual è il succo di questa farraginosa previsione?

1)ancora una volta si insiste in modo maldestro nel tentativo di sostituire con una presunzione l’accertamento giudiziale dei requisiti della legittima difesa; 2) si ripete, con differenze a prima vista insignificanti, quanto già previsto nei commi introdotti con la riforma del 2006, che a sua volta, come abbiamo visto, non faceva altro che evocare un diritto – quello di difendere l’inviolabilità del domicilio da un’aggressione in atto – del tutto ovvio e già implicito nella previsione generale dell’art.52.

Nel complesso, sembrerebbe, dunque, che ci troviamo di fronte a un’altra riforma inutile, sbandierata al solo scopo di guadagnare (a costo zero, come abbiamo già sottolineato) facili consensi.

Guardando le cose un po’ più da vicino, ci si accorge, però, che la norma proposta tende in qualche modo a spostare un po’ più indietro la linea del no trespassing, al di là della quale ogni reazione risulterebbe giustificata. Non più la difesa del domicilio, ma in qualche modo la difesa di un confine. Perciò non sono affatto fuori luogo i riferimenti al Far West, che affiorano spesso nelle polemiche giornalistiche. Fra l’altro, nella norma proposta non si rinviene alcun riferimento, esplicito o implicito, all’attualità del pericolo: il che rende ancor più ambigua e inquietante l’intera disposizione.

Tanto per capirci: anche chi elettrifica, una volta per tutte, il cancello d’ingresso di una villa o la recinzione di un opificio, in vista di future eventuali intrusioni, “compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione, ecc.”!

Onestamente, è’ difficile dire se ci fosse anche questo nelle intenzioni dei proponenti, perché in verità è difficile stabilire se nella formulazione di norme simili il contributo più rilevante provenga da malafede o da sciatteria.

Ma quello che lascia decisamente perplessi è il fatto che le modifiche alla disciplina della legittima difesa, proposte in questi anni – sempre dalla stessa parte politica – invece di avventurarsi in fumose presunzioni, non abbiano mai preso in considerazione le risposte più semplici alle reali criticità connesse con l’applicazione dell’art.52 c.p.

Eppure le soluzioni esistono e sono a portata di mano.

Il problema che le cronache giornalistiche ci rimandano di tanto in tanto è in realtà uno solo. Esso consiste nel potenziale contrasto tra l’esigenza (assolutamente irrinunciabile in via di principio) che la reazione difensiva, per essere considerata lecita, sia proporzionata al pericolo, e il fatto che spesso le circostanze concrete rendono problematica una tempestiva e appropriata valutazione del pericolo da parte dell’aggredito: con il conseguente eventuale “eccesso” di legittima difesa, punito come delitto colposo dall’art.55 del codice penale.

Altri ordinamenti giuridici – per esempio il codice penale della Germania Federale – hanno da sempre risolto il problema con un’apposita disposizione, con cui si stabilisce che la responsabilità per eccesso colposo è esclusa, quando l’eccesso è il frutto di paura o turbamento, che hanno alterato la percezione del pericolo, o della sua entità, da parte della potenziale vittima.

Ci vuole molto a concepire una norma di questo tipo? A me pare che servirebbero meno fantasia e tempo di quanto ne abbia richiesto il parto delle ambigue, farraginose e sconclusionate proposte di legge esaminate più sopra; ma con risultati di sicuro più soddisfacenti.

Il sospetto è allora un altro: che in realtà l’intento primario – perseguito soprattutto attraverso il ricorso alle “presunzioni” – sia quello di limitare al massimo l’intervento dell’Autorità Giudiziaria e i suoi spazi di valutazione e decisione; magari con il pretesto, più o meno esplicito, della lunghezza dei tempi processuali.

Questo tipo di motivazioni non è altro, però, che una ulteriore, manifesta vendita di fumo.

Comunque si formuli la legge, “con il morto a terra” – per dirla in gergo – l’intervento del giudice non si potrà mai eludere! E dovranno esserci rilievi, autopsie, perizie balistiche, con tutto il tempo che richiedono e con gli spazi valutativi che aprono; tenuto anche conto che un cadavere si può spostare da un luogo all’altro, una vittima designata può essere attirata ad arte nel proprio domicilio, e così via!

Dovrebbe dunque essere chiaro che qui non ci sono presunzioni che tengano. L’alternativa sarebbe, appunto, il Far West: che nelle sue manifestazioni estreme conosce, non a caso, anche la legge di Lynch, sinistramente affiorata nel caso recente di un presunto futuro ladro (straniero, naturalmente), inseguito e percosso a morte da una improvvisata ronda di cittadini benpensanti, nei pressi di Aprilia.

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