Gigi, Ross e un bambino “Troppo napoletano”

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Il cantante neomelodico da festa di matrimonio sta in equilibrio sul cornicione della villa mentre gli invitati esultanti lo spronano a lanciarsi di sotto tra le loro braccia (il termine tecnico è stage diving), lui si tuffa nel vuoto ma proprio in quel momento il cameriere annuncia trionfante “Gamberoni!”, il pubblico si volta e il povero cantante si schianta al suolo, morendo sul colpo. E’ l’unico momento di cinema del film, tutto il resto è sketch.

L’onda lunga del televisivo Made in Sud continua dunque a lambire la costa meridionale del cinema italiano: nemmeno il tempo di riprenderci dagli Arteteca di Vita, cuore, battito che ci sommerge una nuova ondata di comicità formato teleschermo locale. In Troppo napoletano si festeggia (con un padrino d’eccezione, Alessandro Siani in veste di produttore) il battesimo sul grande schermo di Luigi Esposito e Rosario Morra in arte Gigi e Ross, la coppia di presentatori del fortunato show di Rai Due. Ma il protagonista assoluto anzi strabordante è Gennaro Guazzo, il ragazzino pacioccone, sovrappeso e dalla battuta pronta già visto (proprio al fianco di Siani) in Si accettano miracoli: qui è nei panni di Iovine Ciro, scugnizzo del quartiere Stella finito per vanità genitoriale (il padre era appunto l’incauto neomelodico) in una scuola posillipina dove tutti hanno la puzza sotto il naso. La Napoli-Napoli verace contro la Napoli borghese e “chiattilla”, ma ciò non impedisce a Iovine Ciro di innamorarsi perdutamente di una coetanea di famiglia snob, Mancini Ludovica, sua compagna di banco. Come conquistarla? Lo spregiudicato Ciro stringe un patto con Tommaso, lo psicologo che dovrebbe curarlo da manie suicide (che in realtà il ragazzo non ha mai nutrito): il dottore lo aiuterà a coronare il suo precoce sogno d’amore, e in cambio lui gli darà una mano a fare breccia nel cuore della propria madre, giovane e avvenente vedova, inconsolabile ma solo fino a prova contraria.

Il logoro meccanismo adulto timido-bambino scafato e l’esile trama rappresentano l’alibi per sciorinare in chiave ironica (e auto-assolutoria) tutti i luoghi comuni su Napoli e la napoletanità: la passione per il ragù, per il caffè, per Gigi D’Alessio (“quando cantava in napoletano”), il mammismo, l’invadenza della famiglia (alla prima visita dallo psicologo, Ciro viene accompagnato da tutto il parentado, e pure dal vicino di casa). Gigi è lo psicologo carino e imbranato, Ross il padre della bimba Ludovica e vanaglorioso insegnante di recitazione, ma nel cast la presenza più fresca è quella di Serena Rossi (C’era una volta… Scugnizzi in teatro, Song’ e Napule al cinema e tanta tv: Un posto al sole, Montalbano, Coliandro) nel ruolo della madre Debora (stranamente senz’acca). Per il resto, normale routine: autocompiacimento dello “specifico partenopeo”, buoni sentimenti, titoli di testa in napoletano (‘o produttore, ‘o regista) e titoli di coda rappati da Clementino.


(Dal Corriere del Mezzogiorno del 9 aprile 2016)

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